Benvenuti alla Grande Scuola degli Antichi Scalpellini Maestri Muratori del Marchio in Italia.

HONI SONI QUI MAL Y PENSE !
Alla Sr:. Germana Sveva Sangermano, M:. V:. , affinché sappia incessantemente continuare ad illuminare le nostre vite, i nostri impegni profani e muratoriali, con La Saggezza , la Forza e la Bellezza che da sempre la contraddistinguono . Possa essere sempre orgoglio di tutti i Fr:. e le Sr:. di ogni Obbedienza in Italia e nel mondo.🌿🌿🌿🌿♥️♥️♥️🌿🌿🌿
Rende 10/03/2025




Precisazioni
Nel 1856 le sopravvivenze del Marchio che si potevano contare in tutta l'Inghilterra si federarono nella Grand Lodge of Mark Master Masons of England and Wales.
La Massoneria del Marchio fu praticata a partire dal 1100 con plurime e variegate cerimonie nelle Logge dei Compagni d'Arte nel 1700 , logge registrate sono in Scozia ed in Germania per ovvii motivi regali secondo il trattato di Schaw.
Fu Thomas Dunckerley a darne lustro e lo stesso fu il Primo ed Unico Gran Maestro ad officiare , visitare e sorvegliare, personalmente ben otto Province .
Il primo Gran Maestro della Gran Loggia del Marchio fu Savage nominato nel 1856. A lui succedette il Rev . John Huyshe l'11 Dicembre 1857 che divenne il primo Gran Maestro , Eletto ufficialmente oltre un anno dopo la fondazione della Gran Loggia del Marchio .
"La pietra grezza scartata dai 12 maestri muratori sovraintendenti è diventata angolare " .
Sr:. Germana Sveva Sangermano.
Sebbene troviamo segni distintivi di massoni su edifici di tutti i paesi civilizzati e sebbene questi siano piuttosto comuni in molte vecchie Chiese ed Abbazie, possiamo avere la certezza che questi marchi siano stati registrati e catalogati per la loro interpretazione solo in Scozia e in Germania. Gli statuti di Schaw ( Scozia) del 1598 danno una chiara testimonianza del sistema adottato per la registrazione di tali marchi. L’Art.13 di questo Statuto che pone le basi sulle quali viene eretto l’intero edificio della Massoneria del Marchio, recita che nessun Maestro od altro membro della Massoneria può essere ricevuto od ammesso se non alla presenza di sei Maestri e due nuovi iniziati al Grado.
La data di ammissione,il Marchio distintivo ed il nome del candidato dovevano essere regolarmente annotati nel registro
assieme a quelli dei Maestri e dei nuovi Iniziati al grado che dovevano essere presenti. Nessun candidato può essere ammesso senza essersi sottoposto ad una prova delle sue capacità di merito e di attitudine all’Arte.
Quindi nel 1598 abbiamo una chiara testimonianza che l’Apprendista massone operativo scozzese per diventare Compagno dell’arte doveva registrare il suo marchio distintivo. Se per il periodo operativo vi sono sufficienti fonti storiche, le difficoltà iniziano quando cerchiamo di scoprire il momento in cui il Marchio del Muratore si rivelò come l’argomento di una cerimonia simbolica massonica. La Massoneria del Marchio fu indubbiamente praticata con una varietà di cerimonie nelle Logge dei Compagni d’Arte in vari periodi del 1700, ma il punto d’orgoglio della storia del Marchio viene attribuito generalmente a Thomas Dunckerley.
Il Capitolo di Portsmouth che lavorava sotto i “Moderns” redigeva con regolarità il libro dei verbali e in una stesura del 1769 si legge: ” Ad un Capitolo dell’Arco Reale tenuto presso la Taverna di George, il Pro Gran Maestro T.Dunckerley, che era stato di recente iniziato al Marchio, iniziò sei Fratelli a Massoni del Marchio e quindi a Maestri del Marchio”. Tale verbale indica chiaramente che la Massoneria del Marchio a quel tempo consisteva di due gradi : Mark Man e Mark Master. La Massoneria del Marchio inglese oggi in pratica accomuna i due gradi, ma in alcune parti si lavora ancora nei due gradi distinti, anche se ovviamente sono diversi da quelli del 1769.
Tratto da : B.J.
Ci siamo sensibilmente allontanati dallo spirito iniziatico, dai principi fondamentali. Il lento e duro apprendimento che caratterizzava la Massoneria di un tempo è stato sostituito da un veloce accesso a titoli ridondanti e altisonanti, svuotati del loro senso. Questa è senza dubbio la “via” più lusinghiera per l’ego; ma poi?
Rumore di metalli in MassoneriaVorrei ricordare, a me stesso per primo e poi a tutti i Fratelli che sognano di essere grandi, che siamo muratori; naturalmente, anche un muratore può essere grande, ma sono i suoi Fratelli i soli accreditati a riconoscerlo come tale, e questo basandosi sulla qualità del suo lavoro.
La sola grandezza è relativa all'elevazione spirituale e all'avanzamento iniziatico, che si poggiano sul lavoro, l'umiltà, la tolleranza ed il dovere.
Si è grandi non perché si sia superiori agli altri, ma perché si è in grado di aiutarli, guidarli e amarli.
Si è grandi se sappiamo meritare la dignità del grado da noi raggiunto accompagnando nella loro crescita quanti ci seguono nel cammino, largendo a piene mani conoscenza, benevolenza e saggezza.
Un tempo, l’Articolo V dei Doveri di un Libero Muratore recitava così:
Nessuno deve manifestare invidia per la prosperità di un Fratello, né soppiantarlo o fargli togliere il suo lavoro se egli è capace di compierlo; nessuno può finire il lavoro di un'altro per utile del committente, se non ha piena conoscenza dei progetti e dei disegni di colui che lo ha cominciato.
In una Istituzione come la Massoneria, non bisognerebbe consentire a sé stessi che il naturale bisogno di affermarsi nella vita profana si trasformi in desiderio di apparire; si dovrebbe piuttosto gioire del fratello più preparato e capace, ma non tutti – purtroppo - hanno la maturità di capirlo.
Allora si sviluppano difetti come l’invidia e la maldicenza: in queste brevi riflessioni cerco a modo mio di comprendere tale fenomeno, e di fornire anche qualche spunto che valga a contrastarlo.
La “sciamanica” riluttanza manifestata dal mio amico Daniele Mansuino a trattare in questa rubrica temi di carattere morale trova, è vero, conforto nell’opinione di molti importanti autori, per i quali il piano esoterico e quello morale debbano essere nettamente separati, ma non sempre purtroppo ha lo stesso riscontro nella realtà.
In tutte le forme di esoterismo organizzato, e purtroppo in Massoneria più che altrove, il solo fatto che uomini debbano lavorare sotto lo stesso tetto è portatore, sì, di Fratellanza e letizia, ma anche inevitabilmente il veicolo per la manifestazione di quelle emozioni negative che, dalla corruzione di Eva e Adamo in poi, sono sempre state le compagne indesiderate del percorso umano.
Se ho scritto in Massoneria più che altrove è perché, innegabilmente, c’è un abisso tra i costrutti etici collegati al simbolismo muratorio e la loro applicazione quotidiana nel lavoro delle Officine: abisso la cui esistenza non è soltanto da imputare alle limitazioni umane, ma anche al percorso storico attraverso il quale il nostro simbolismo si è formato.
Al tempo degli Operativi, la dura fatica delle braccia valeva a bruciare le emozioni negative nel lavoro, e la legge dell’Uguaglianza che governava il lavoro nelle Cave e nei Cantieri imponeva a tutti di sacrificare i propri sentimenti egoisti, immolandoli alla santità della Grande Opera che era lo scopo comune. Non era vissuta come necessaria, a quei tempi, l’elaborazione di un corpo etico di valori che costituisse una specificità della Muratoria: la semplice applicazione dei più puri precetti cristiani era di regola sufficiente a garantire la piena armonia. Molte leggende massoniche, come quella di Hiram, testimoniano di quanto lo scandalo fosse grande ogni volta che la legge della Fratellanza veniva violata, e il loro senso simbolico intreccia indissolubilmente i valori etici a quelli spirituali senza nessun bisogno di rimarcare i primi con un’enfasi indebita, né di prenderli a pretesto per l’elaborazione di sistemi etici filosoficamente più complessi della pura, semplice e tradizionale legge del lavoro.
Del tutto diversa, come sappiamo, fu fin dai primordi la situazione della Massoneria speculativa: era fatale in un certo senso che le energie dei Fratelli, compresse dall’inerzia fisica, inacidissero in una certa misura per scaricarsi nella discordia. I grandi conflitti che segnano la storia della nostra Istituzione fin dal Settecento ne sono la testimonianza: sempre di più, la stolta voglia di pochi Fratelli di primeggiare e sugli altri e imporre le proprie idee individuali diventò un veleno destinato ad amareggiare l’onesto e umile lavoro di tanti bravi Massoni.
Inoltre sul lavoro muratorio vennero a innestarsi, come era inevitabile, diverse interpretazioni culturali, filosofiche, politiche ecc. che se da un lato giovarono a facilitare la penetrazione della Massoneria nei più diversi ambienti dall’altro portavano come inevitabile conseguenza un aumento delle discordie.
Così, per esempio, quell’impagabile strumento di lavoro speculativo che è il dibattito in Loggia, concepito come metodo di scambio, ispirazione, reciproco arricchimento con la meditazione comune sui simboli massonici, diventò per molti una sorta di passerella dalla quale imporre fastidiosamente agli altri le proprie idee, e pavoneggiarsi esponendo provocatoriamente le proprie presunte qualità intellettuali. Come può non nascere la discordia da atteggiamenti del genere, volti a destare autentici focolai di invidia e maldicenza?
Entro certi limiti, l’invidia - se imbrigliata entro i limiti di un sano desiderio di emulazione - è un utile stimolo, che porta a aguzzare l’ingegno per migliorare sé stessi, sviluppando lo spirito di iniziativa: la maggior parte di noi, fortunatamente, appartiene a questa categoria degli invidiosi “buoni”, intenti a lavorare sulla pietra del proprio talento per il bene comune. Molte lodevoli iniziative nascono così, da un innocente desiderio di riconoscimento personale associato a nobili fini.
Ma quando invece l'invidia cessa di essere uno strumento di crescita e si fa avida, quando aspira segretamente addirittura a voler spegnere le gioie altrui, diventa un cancro che rode l’anima e la spinge in balia della cattiveria più sfrenata. Si perde il senso della realtà; si sogna di togliere agli altri quello che la nostra delirante immaginazione suppone sia nostro di diritto, regredendo in questo modo agli aspetti più irrazionali della mentalità infantile – forse al trauma mai rimosso di qualche bambino che aveva giocattoli più belli dei nostri.
Allora, l’invidioso vive continuamente sospeso tra rabbia e ammirazione, ostilità e desiderio. Di norma è una persona con forti tendenze competitive, desideroso di attirare l’attenzione, migliorare la propria posizione nel lavoro e nella società, guadagnare molto denaro. I successi conseguiti dagli altri lo disturbano, essere testimone delle loro vittorie implica automaticamente il desiderio di sostituirsi a loro.
Certo, un tale comportamento implica anche una forma di difesa: l’invidioso soffre irragionevolmente e non vuole più soffrire. Questo è legittimo, ma la ragione potrebbe offrirci strade migliori per sfuggire alla trappola dei nostri risentimenti, ridicolizzandoli mediante la rivelazione della loro assurdità. Perché l’invidioso non vuole ascoltare la sua voce?
Un’altra attenuante che bisogna riconoscergli è che, spesso, vorrebbe sfuggire al confronto – stando lontano dalla persona che involontariamente è causa del suo male – ma non può : la situazione non lo consente, le mille pressioni che la società impone a tutti noi gli impongono di vederlo ogni giorno, magari forzandolo a trascorrere con lui molte ore.
Può darsi pure che, al principio, il potenziale invidioso sia abbastanza intelligente da capire che porsi in competizione con una data persona sia per lui una scelta tatticamente errata, perché in quello specifico campo non è il grado di reggere il confronto ; può darsi pure che per un po’ riesca efficacemente a consolarsi pensando che sì, in quello specifico campo quella persona è migliore di lui, ma che lui in compenso se la cava meglio in tante altre cose…. Ma come fare se proprio in quello specifico campo è forzato a misurarsi con lui sul lavoro, o nello sport, o in qualunque altra situazione? Come fare se gli ossessivi stimoli alla competizione che pervadono la nostra società prendono il sopravvento?
In verità, viviamo davvero in un mondo che ci spinge a superare sempre i nostri limiti, e ci loda solo nella misura in cui riusciamo a farlo. Questa, tra l’altro, è anche la ragione per cui l’invidioso starà sempre bene attento a non farsi individuare, e farà carte false pur di nascondere i suoi veri sentimenti : perché ammetterli equivarrebbe ad ammettere il proprio senso di inferiorità, e sarebbe la fine – come avviene nel pollaio quando una gallina è debole e malata, tutti gli esseri come lui gli salterebbero addosso per farlo a pezzi.
E’ una grande sventura per coloro che sono costretti a vivere situazioni del genere senza che la natura li abbia provvisti della forza interiore necessaria a sopportarle: la costante pressione allora cresce e sconquassa la struttura dell’anima, e la quotidiana necessità di confrontare il nostro comportamento con quello altrui finisce per diventare un supplizio insopportabile. Da questo punto di vista, possiamo ben dire che l’invidioso è una vittima, meritevole di tutta la nostra comprensione e pietà ; ma purtroppo, il male che riesce a fare è talvolta tanto grande da far passare queste considerazioni in secondo piano.
Tra l’altro, la sua fissazione si sviluppa non solo nei confronti delle persone che conosce direttamente, ma anche contro estranei, pur non sapendo nulla del loro percorso e delle qualità personali che li hanno resi degni del successo: a questo proposito sviluppa inevitabilmente un pregiudizio di condanna, dando per scontato che le loro vittorie sono frutto della fortuna o di agevolazioni di cui lui non ha goduto.
Si inventa allora dei pretesti per potersi lamentare della persona invidiata, senza sapere che la loro origine si trova in realtà nel suo inconscio: è dei propri limiti, non di quelli dell’altro che sta parlando.
E magari l’invidioso desiderasse soltanto essere al suo posto! No, questo non gli basta: sogna in silenzio che chi ai suoi occhi è più fortunato sia vittima di una sconfitta, godendo nell’immaginare il suo insuccesso e la sua umiliazione. A questi livelli, l'invidia trasborda addirittura nell’odio e raggiunge i confini di una vera e propria malattia della mente.
Queste forme estreme di invidia possono causare in chi ne viene aggredito sintomi paragonabili a quelli di certe malattie: prostrazione, comportamenti irragionevolmente aggressivi, mania di persecuzione. Lo sforzo di danneggiare la persona invidiata non conosce allora più nessuna barriera: in tutte le circostanze, anche le più socialmente inopportune, l’invidioso può scatenarsi contro di lui in perfidi e immotivati attacchi, al solo scopo di umiliarlo pubblicamente e godere della sua confusione.
E’ come se gli dicesse: tu sei la testimonianza vivente che io valgo poco, e questo mi causa dolore; quindi devo gridare forte che tu vali ancora meno di me, che sei piccolo e ridicolo, e la sofferenza che ti causerò allevierà il mio dolore.
Per mezzo di pseudo - giustificazioni di questo genere, l’invidioso si rafforza sempre di più nella segreta convinzione che danneggiare il prossimo sia un suo diritto. Diventa sempre più sottile nell’elaborazione di astuti piani volti a creare danno in modo indiretto, ma non per questo meno nocivo, conditi di machiavellici accorgimenti che gli consentono di uscirne sempre con le mani pulite, senza che nessuno possa accertare la sua responsabilità.
Questi piani spesso hanno il fine di precludere al rivale la disponibilità del bene che ha scatenato l’invidia – sia esso l’amore o la stima di una più persone, o un successo professionale, o un beneficio economico o una carica; fare la spia, corrompere, calunniare, perfino compiere ogni sorta di atti contro la legge, tutto pare lecito all’invidioso nella sua ossessione di spogliare l’avversario, turbare la sua quiete, devastare il suo campo.
Inutile rilevare quanto sia goffo e deleterio è il suo tentativo di recuperare l’autostima abbattendo quella degli altri, perché i fenomeni di questo genere sono contagiosi, e se la discordia si diffonde la diffidenza e la depressione contageranno tutti, e la caduta di credibilità sarà generale: pensando alla nostra Istituzione, quante Officine sono finite così?
Ma forse l’invidioso, più o meno consciamente, mira proprio a questo: se lui non può primeggiare, muoia Sansone con tutti i Filistei. Va in giro così, spargendo il suo veleno tra i Fratelli che si fidano di lui e mascherando la propria opera malefica dietro a un sorriso.
La maldicenza, purtroppo, è ovunque attorno a noi. A seconda della qualità dell’invidia che l’ha generata, può presentarsi sotto diverse manifestazioni: dal semplice pettegolezzo – il piacere, tutto sommato innocente, di mostrarsi al corrente di eventi che il prossimo non conosce – il quale però può diventare involontariamente pericoloso se non riflettiamo bene sulle possibili conseguenze della notizia che stiamo diffondendo.
Una forma di maldicenza molto particolare è quella che ha per vittima persone gerarchicamente al di sopra di noi, che può contare su ampi margini di impunità dovuti al fatto che tutti siamo disponibili a invidiarle almeno un po’. Ben pochi tra i potenti ne sono immuni: per esempio, si salvano in genere quelli che rispondono al modello del “padre della Patria” – le persone avanti in età che stanno al potere ormai da così tanto tempo da essere riuscite a porsi psicologicamente “fuori della mischia”, facendosi accettare come modelli di comportamento – chi cercasse di calunniarli farebbe allora una figura ben meschina, e la sua malignità sarebbe immediatamente chiara a tutti.
Ne sono immuni anche i dittatori senza scrupoli, i prepotenti sempre pronti alla rappresaglia, quelli che incutono timore: chi si sente spinto a calunniarli allora si trattiene, ricordandosi per tempo che il potere ha mille orecchie e temendo l’effetto boomerang che ne può derivare.
Guai invece alle persone spensierate e sincere, quelle contente della propria vita e per nulla inclini a pensar male degli altri: questa è la vittima perfetta, anche perché l’idea che qualcuno possa tramare alle sue spalle è completamente estranea alla sua mentalità, ed è molto facile che trascorrano mesi e anche anni prima che si accorga che hanno già scavato la fossa; e quando se ne accorgerà sarà tardi, perché - come recita il malefico precetto attribuito, forse erroneamente, a Goebbels: calunniate, calunniate… qualcosa resterà.
E' davvero un triste momento quando ci capita di incontrare, il più delle volte, nella Sala dei Passi Perduti, qualche personaggio losco, viscido, vile e cattivo, che - del tutto dimentico dei Cinque Punti della Fratellanza, e venendo meno alla Promessa Solenne che un giorno ha prestato - ti si avvicina per rovesciarti addosso il suo veleno, dicendoti cose che fanno arrossire riguardo a un Fratello.
Certamente la maldicenza ed il maldicente rivelano un aspetto ripugnante dell'essere: come è possibile che un uomo possa trovare diletto nell’offuscare la reputazione di chi lo circonda, nel distorcere la verità, nel frantumare la serenità dell'esistenza altrui?
Cosa mai ci si può aspettare da esseri di questo genere, che non meritano di essere definiti con altri aggettivi salvo maldicenti e vigliacchi, perché non conoscono nessun altro modello di comportamento?
Carissimi Fratelli, cerchiamo di avere il coraggio delle nostre azioni: se si avvicinano a noi, allontaniamoci subito da loro. O se vogliamo fare del bene (assumendoci, in questo caso, notevoli rischi e pericoli), invitiamoli fermamente a recarsi subito dal Fratello che stanno calunniando (se necessario, possiamo accompagnarceli noi) e operiamo affinché abbiano subito un colloquio chiarificatore e risolutivo, che si concluda con un triplice fraterno abbraccio.
Purtroppo, mio malgrado devo registrare che non tutti i Fratelli hanno il coraggio di comportarsi così: c’è sempre qualcuno – per fortuna, una minoranza - che vanno dietro al maldicente ascoltando tutte le sue calunnie, quasi che ne provasse piacere, e provvedendo coscienziosamente a diffonderle di bocca in bocca, causando spesso danni irreparabili al Fratello che, per sua sventura, si è reso incolpevolmente degno degli strali dei maldicenti.
A tutti costoro vorrei dire: ricordiamoci sempre che la maldicenza e il maldicenti danneggiano l'immagine dell’Istituzione Massonica ancora di più di quanto non possano fare gli attacchi della Chiesa e del mondo profano. Possono distruggere in un attimo lavori portati avanti per tanto tempo con stima reciproca, amicizia e affetto. Offendono i landmark, affievoliscono gli eggregori, contaminano il Tempio. Ci privano di tutti i doni che possono derivare dalla Fratellanza e dall’Unione.
La vita di un’Officina può allora diventare molto difficile, se non impossibile. Il clima di serenità si interrompe, i rapporti d'amicizia inaridiscono per la diffidenza e il timore. La maldicenza è un frutto perverso che impedisce di esercitare uno dei valori di cui la Massoneria va più fiera, ovvero la Libertà.
Non bisogna, del resto, pensare che i problemi sollevati dall’infuriare dei cattivi sentimenti non abbiano destato nell’ambito dell’Istituzione massonica importanti reazioni, alcune delle quali registrate anche a livello storico.
Per esempio, nella Massoneria settecentesca, una notevole corrente di pensiero sosteneva la necessità di una rivisitazione dell’etica cristiana in senso esoterico, e tra gli argomenti in favore un posto importante era occupato dalla considerazione che essa avrebbe contribuito a purgare i rapporti tra i Fratelli dal tarlo dell’ipocrisia.
Innanzitutto, non facendone uso come di uno strumento polemico – cosa che avrebbe fomentato lo scontro tra deisti e teisti, tra cristiani o agnostici, tra materialisti e spiritualisti, tra atei e credenti e così via; ma partendo dall’idea che, nell’arco di quasi due millenni, il simbolismo alchemico/ermetico della Grande Opera si era innestato sulle tematiche introdotte dal Cristianesimo in modo tanto indissolubile (vedi ad esempio le scuole gnostiche) da renderne possibile l’utilizzo in termini esoterici: considerando quindi l’etica cristiana come una forma di estensione del simbolismo massonico, anziché viceversa.
Molti importanti esoteristi, come Martinez de Pasqually, Cagliostro, Willermoz, Saint Martin eccetera, diedero voce a questa corrente che – purtroppo - era destinata dai rivolgimenti della storia a sostenere nella storia della Massoneria un ruolo sempre più marginale. Ma può essere interessante concludere questo modesto lavoro con una breve rivisitazione del tema dell’invidia come venne interpretato dall’ultimo, grande esponente di questa scuola oggi quasi estinta: il Fratello Robert Ambelain (1907-1997), nel suo capolavoro L’Alchimia spirituale.
Nella Qabbalah ebraica, è detto che all’Albero della Vita (Otz Chiim) corrisponde nel mondo manifestato il Piccolo Albero di Vita, che si chiama Kallah, “la Fidanzata”. Rovesciato e in opposizione a lui, corrisponde il Piccolo Albero di Morte, “la Prostituta”, Quliphah.
Sull’Albero della Vita fioriscono e raggiano le Sephirot o sfere della manifestazione evolutiva. Sull’Albero della Morte fioriscono e raggiano le Quliphot o sfere della manifestazione involutiva.
E’ dunque evidente che alle sette Virtù essenziali (quattro cardinali e tre teologali) corrispondono sette Virtù (dal latino virtus = potenza) opposte. Sono i sette peccati capitali (…): l’Avarizia, la Ghiottoneria, la Lussuria, la Pigrizia, l’Invidia, la Collera e l’Orgoglio (…).
L’Invidia porterà lo pseudo-iniziato a fargli desiderare, non solo i primi posti o i falsi onori, ma pure non esiterà a far ritardare, magari a impedire, l’avanzamento degli altri, se egli indovina in questi ultimi una superiorità che può eclissare la sua.
Passerà sotto silenzio le dottrine, gli insegnamenti, i libri e gli avanzamenti suscettibili di nuocere al suo interesse. Non avrà tregua di possedere tutto ciò che gli altri posseggono, considerando un’offesa il fatto che ci sia qualcosa che egli non possiede, anche se in anticipo è ben deciso a non servirsene, pure se vi è intellettualmente opposto.
(Alchemicamente) l’Invidia corrisponde al principio del Sale e si oppone alla Carità (…).
Ambelain passa poi ad illustrare come, per mezzo del Vetriolo filosofico, l’Alchimista spirituale possa ottenere la trasmutazione dei peccati nelle loro virtù corrispondenti: per cominciare il lavoro gli occorrerà tutta una serie di attrezzi, i cui principali sono il Silenzio, la Solitudine, la Fame, il Digiuno e la Veglia… sinceramente, migliori medicine per gli invidiosi non saprei indicare.
O meglio: sì, un’altra c’è. Per superare l'invidia, occorre conoscere l’Amore: bisogna veramente saper gioire del successo dell'altro, in tutta sincerità, senza riserve né ipocrisie. Succede più facilmente se si collabora attivamente alla costruzione di tale successo: soltanto in questo modo riusciremo a viverlo come se fosse anche nostro, e il nostro contributo al bene e al progresso dell’umanità sarà riconosciuto ed apprezzato da tutti i Fratelli.
Allora l’Amore che avremo investito sarà ricambiato con gli interessi, e ci sarà rivelato un altro dei mille segreti della Massoneria: che la porta del Tempio può essere, per il Fratello che sa varcarla con lo spirito giusto, anche la porta della più sconfinata Felicità.
Ho scritto questo articolo non per avvertire o rimproverare, ma solamente affinché tutti i Fratelli ed io per primo si possa compiere un esame interiore e una profonda riflessione: così, chi inconsciamente soffre di questo male potrà reagire e correggersi, per il bene dell'Istituzione.
Ovviamente… sempre lui e se non … chi? Buona lettura.
MASSONERIA E VALORI
Marzo 2012
di Giovanni Domma
Se esistono valori degni di essere condivisi da tutti gli uomini, questi devono essere fondati sull’idea di essere, che si basa a sua volta sul principio dell’Unità : tutto è uno.
Le separazioni che caratterizzano i singoli oggetti sono nella nostra mente, che tramite i sensi smonta l’unità nelle sue parti. Anche noi, tuttavia, abbiamo la possibilità di renderci conto degli inscindibili legami che collegano le singole parti tra loro, e di sintetizzare il valore che tutte le comprende : l’essere, appunto.
Possiamo quindi considerare l’essere un valore di base, che come ogni altro può essere tradotto in norme e sistemi di vita : l’insegnamento dell’essere è di accettare la realtà così come si presenta, senza imprecare contro il destino, rendendoci conto che tutte le nostre reali possibilità di cambiarla dipendono dall’equilibrio e la serenità con cui abbiamo saputo conformarci ad essa.
Questo a prima vista potrà sembrare forse un atteggiamento passivo, ma riflettiamo bene sulle parole : equilibrio e serenità non sono caratteri applicabili a un tipo di comportamento, ma pure e semplici disposizioni dell’animo. Se il soffitto sta crollandoci sulla testa, l’atteggiamento più “equilibrato e sereno” è balzare fuori dalla finestra, non certo aspettare di essere schiacciati ringraziando il Cielo.
In contrasto con la passività dell’atteggiamento religioso, il comportamento del Massone cerca di armonizzare la propria volontà col disegno dell’Uno, anziché subirla. Non per questo, però, è da considerarsi in antitesi con la fede : anzi essere strumenti attivi della volontà di Dio è un’ambizione presente anche nel Cristianesimo, che avvicina tra loro tutti gli “uomini di conoscenza” qualunque sia la loro formazione di fondo.
Nell’ottica della Chiesa cattolica, il fatto che l’uomo possa legittimamente elevarsi fino al punto di farsi strumento dell’opera divina testimonia della sua necessità nella Creazione ; molto vicina alla concezione massonica è quella particolare formulazione per cui l’Uomo è la misura di Dio. Abbiamo qui una delle molte possibili versioni del ternario ermetico, per la quale Il Padre necessita del Figlio quale strumento della sua azione nel mondo, e lo Spirito Santo rappresenta il legame tra i due ; anche questo punto di vista dinamico può essere riassunto, in termini più statici, nell’idea dell’eternità e della sostanziale unità dell’essere, nella quale una parte non solo si lega alla totalità, ma potenzialmente la contiene. Ogni atomo è un Universo, ogni goccia d’acqua è un oceano, ogni uomo reca in sé la virtù divina, e la esprime nella positività dei suoi valori.
Non la possiamo esprimere con maggiore compiutezza di così, perché siamo Dei, sì, ma soltanto in potenza : lo stesso fatto di essere soggetti ai limiti della nostra condizione fisica implica una sorta di amnesia dell’onnipotenza divina, alla quale non abbiamo nessuna possibilità di sfuggire finché dovremo soggiacere alle limitazioni del corpo ; stolto quindi è l’uomo che persegue una spropositata grandezza, saggio è colui che lavora umilmente, fondandosi sul poco che è riuscito a capire della vita per esprimere valori positivi che possano migliorare il mondo in cui vive ed essere di modello agli altri.
Questo ovviamente non significa che non possiamo ricordare qualcosa della nostra perduta grandezza ; anzi dobbiamo sforzarci di farlo, proprio in questo consiste l’utilità del cammino iniziatico, che è come un lento e paziente ritorno a casa, passo dopo passo, faticando con umiltà per recuperare la memoria della nostra perduta condizione – è questa la reintegrazione dell’essere di cui hanno parlato il Fratello Martinez de Pasqually e altri grandi Massoni.
Per il Buddista, il momento del ritorno a casa è segnato dal valico di un confine ben preciso : la fine della sofferenza, l’affrancamento dal mondo delle illusioni. Solo in quel momento, per il Buddismo, si pone fine alla sofferenza che ci ha afflitto nel corso del cammino, e che ha un’origine ben precisa : l’ignoranza – il recupero della conoscenza perduta è quindi la sola forma di salvezza possibile.
Di quale ignoranza stiamo parlando ? Naturalmente, l’ignoranza dell’Unità dell’essere, che è la fonte primaria di tutti gli errori e le ribellioni : l’illusione della separazione sta all’origine di tutte le valutazioni sbagliate della realtà che si ripercuotono sulle nostre esistenze in modo catastrofico.
Così l’uomo corrotto, invidioso ed egocentrico, attraverso l’egoismo e la sete di potere, lascia il luogo della conoscenza per seguire la via dell’ambizione individuale, rinunciando alle semplici e pure gioie dell’essere per inseguire la vana illusione del potere : è la cacciata dal Giardino dell'Eden, è l’ingresso nella palude della sofferenza e del dolore.
Abbagliato dal proprio ego, si autoipnotizza attraverso la manipolazione nevrotica della realtà che lo circonda, spinto sempre da nuove chimere di successo e avidità ; ma in questo modo, otterrà forse la passeggera ebbrezza di sentirsi alla pari del Grande Architetto dell’Universo, ma non conoscerà mai il profondo senso di giustizia espresso dalle nostre Luci – Sapienza, Bellezza e Forza : l’ineffabile premio del vero Maestro, quello di essere tutt’uno con Lui.
Certo, ora sa “molte” cose, ma a che pro ? Per avere l’autentica conoscenza ne basta una : che il Bene sta nell’Unione, e che l’Unione tra i Fratelli è solo il simbolo dell’Unità dell’Universo. Che ogni male è portato dallo spirito di divisione, e l’ossessione della dualità – per quanto necessaria alla percezione della materia – va trascesa con l’Amore.
Queste due grandi forze contrarie, attrazione e respingimento, sono alla base di tutte le dinamiche dell’Universo. Contempliamone l’azione, ammirando la grandiosità del disegno del Grande Architetto, ma non lasciamo che lo spirito di separatività penetri in noi. Ancora una volta, mi sento spinto ad ammirare la grandezza dell’insegnamento di Cristo : amiamo i nostri nemici, se ci riusciremo neutralizzeremo la forza del male. Non ci saranno più due forze opposte, solo un’enorme spinta all’Unione che tutto trascende, e potremo dire che stiamo praticando la vera conoscenza, apportatrice di pace e di felicità.
In questo modo, un mondo pieno di tristezza e brutture avrà allora per noi il sapore del Paradiso – non credo che ce ne sia un altro nei cieli ; ma anche se ci fosse, le sue delizie non potrebbero mai eguagliare quelle che sono alla portata dell’Uomo riconciliato, che propaganda attivamente per mezzo del suo stesso esistere l’Amore e la Fratellanza.
In realtà, lo sforzo per mantenere la nostra mente concentrata sull’Unità non è così grande come comunemente si crede : basta provare. Si può anche riflettere su certi piccoli dettagli del funzionamento della nostra mente, come la tendenza ad applicare le categorie del pensiero separativo e razionale anche a categorie diverse da quelle per cui è stato creato : lo abbiamo avuto in dono per sopravvivere nel mondo della materia, non certamente per applicare le sue categorie ai valori astratti. Certe pagine della filosofia, intrise di sofismi, sono davvero aberranti a tale riguardo, veri e propri esempi di un uso scorretto del cervello : trappole della mente che allontanano le persone intelligenti dalla percezione dell’Unità e dell’Amore.
Dobbiamo particolarmente essere grati al simbolismo massonico, che trasferendo la nostra attenzione dal piano logico a quello analogico ci aiuta a farci strada nella giungla delle astrazioni inutili, che a tonnellate si riversano ogni giorni su di noi dai giornali, dalla politica, dalla televisione ; ci riporta al senso delle cose semplici, le collega tra loro in un limpido percorso che tutti possiamo seguire con facilità, ed è nello stesso tempo tanto profondo, ricco di segreti ed esaustivo da intrigare la nostra mente nell’ineffabile magia di un gioco divino.
Un consiglio che un vecchio Muratore ignorante si sente di dare ai giovani appena entrati, che nella maggior parte sono tanto più colti e preparati di lui, è : imparatelo bene, il nostro simbolismo, e parlatene. Scoprirete che non esiste un argomento più inesauribile di conversazione, e che ogni disputa, ogni dissapore, ogni infelicità profana è suscettibile di trovare in esso il sollievo di una risposta. E scoprirete pure cosa significa quell’impareggiabile aspetto della nostra organizzazione iniziatica in cui tanti scettici non credono, perché non l’hanno capito : che la realizzazione massonica è un viaggio che va intrapreso – e conseguito – collettivamente : è la Loggia che compie l’opera, il singolo Massone da solo non può nulla. Il nostro simbolismo vive e si realizza nel rapporto tra i Fratelli, nella loro intercomunicazione – e in questo senso, si può legittimamente affermare che in esso il cammino e la meta si identificano, una legge che accomuna tutte le forme di esoterismo regolare.
Se comprendete questo, saprete che i momenti più utili e fruttuosi della vostra vita sono quelli della vostra comunione con i Fratelli : potete anche non accorgervene sul momento, ma ogni tornata – anche la più stupida e noiosa – lavora sul vostro inconscio con gli effetti positivi di un momento di crescita, creatività, libertà.
Certo, alle volte anche i Fratelli si scontrano tra loro. E’ un momento molto triste che non dovrebbe accadere mai. Ma accade anche ai migliori : abbiamo visto come, purtroppo, viviamo incatenati all’illusione della separatività, e anche il più grande Maestro – quello che più pienamente l’ha trascesa nel suo cuore – può cader vittima di un attimo di debolezza.
Non soltanto i Fratelli, ma anche i valori configgono : bellissimi romanzi sono stati scritti, magnifici film sono stati girati su nobili personalità lacerate da valori opposti. Ma se finiscono bene, la conclusione è sempre la stessa : quei valori che originavano il conflitto erano in parte appesantiti, falsati dal peso dell’egocentrismo umano, dal nostro orgoglio, dal nostro sentirci importanti, dal nostro istintivo voler contrapporre noi stessi agli altri. A costo di essere ripetitivo, è bene sottolineare ancora una volta che il Massone possiede la panacea contro questo male, ed è lo spirito di apertura verso gli altri ; la Fratellanza, l’Unione.
Forse qualcuno interpreterà questi ripetuti appelli come un richiamo allo spirito di sacrificio : sopportiamo gli errori altrui, reprimiamo la nostra reazione, cerchiamo appagamento altrove. Non è così : adempiere ai valori che fanno da corolla all’idea di Unione è atto inscindibile dal proiettarli all’esterno. Vivere in accordo con essi è un talismano invincibile che richiama anche gli altri alla giusta forma di comportamento ; così se siamo veramente onesti non dovremo mai sopportare la disonestà, se siamo veramente corretti non dovremo sopportare la scorrettezza. E se così non avviene, prima di gettare la colpa sugli altri facciamo un esame per scoprire dove abbiamo sbagliato, e dove ancora ci è possibile migliorare.
Qual è il comportamento che, se lo avessi adottato prima, avrebbe impedito una reazione sbagliata da parte del Fratello ? Se riesco a individuarlo, è inutile crearsi un complesso di colpa : la mia coscienza è tranquilla, io avevo cercato di agire bene. Piuttosto, memorizziamolo e cerchiamo di non ricadere più nello stesso errore : così poco per volta squadriamo la nostra Pietra, o (nel simbolismo del Marchio) scopriamo l’esistenza della Chiave di Volta – della Pietra perfetta come la magica Pietra dei Filosofi, il cui possesso ci garantisce il trascendimento dei vincoli della materia.
Così si combatte contro l’ignoranza, anche se già siamo professori, e ci si rende più degni del dono che la tolleranza e la generosità dei Fratelli ci hanno concesso : l’ineffabile dono di poterci dire Maestri Massoni.
Abbiamo accennato ai valori come a petali di una corolla, ma ancora più giusto sarebbe considerarli ciascuno come un fiore : pur essendo ogni fiore dipendente dalla pianta dell’Unità, ognuno ha anche un proprio centro, e come ci insegna la Geometria ogni centro ha proprietà che lo rendono identico a tutti gli altri. Su qualunque valore principale la nostra esistenza faccia perno (ed è diverso per ciascuno di noi, come diversi sono i doni che abbiamo ricevuto), da esso possiamo accedere ugualmente al Tempio dell’Unità, che è lo stesso per tutti.
Possiamo forse sentirci insicuri che il valore al quale ci siamo dedicati abbia il potere di garantirci il rispetto degli gli altri : nella vita di tutti i giorni certamente non sembra che sia così – quante volte, malgrado i nostri solidi principi, ci siamo infuriati a un semaforo, o abbiamo commesso una piccola ingiustizia o una scortesia ? Magari, anche non piccole…
Se fossi il Papa, la risposta sarebbe : dovete avere fede… invece sono un laico, e dico a me stesso e agli altri : abbiate integrità. Distinguiamo i valori che sentiamo da quelli che ci sono più estranei, da quelli che parlano un’altra lingua, da quelli meno vicini al nostro cuore. Se sapremo far bene questo, avremo già la chiave della risposta : i valori in cui non crediamo sono quelli che sappiamo rappresentarci male.
Non si può credere nel valore della legalità se, appena ci pensiamo, ci viene in mente quel pubblico ufficiale poco serio che pretendeva una mancia per cancellarci la multa : il male più grande che ha fatto quel signore non è contro sé stesso e contro lo Stato, è di aver impresso ai nostri pensieri un corso sbagliato che può essere irrimediabile e fautore di mali ben più gravi. Ci ha precluso la possibilità di riflettere serenamente e in modo obbiettivo, di comprendere ciò che è più giusto non per il nostro miserabile (e sempre vessato) portafoglio, ma per il bene e il progresso dell’umanità.
Liberiamoci di lui, lasciamolo alla sua miseria. Viviamo il mondo non come ci è imposto di subirlo, ma come noi lo vogliamo : il mondo che vorremmo lasciare in eredità ai nostri figli, ai nostri amatissimi nipotini (io ne ho due).
E’ questo che crea la magia, che crea il miracolo per cui le persone oneste, i giusti, i Maestri sorgono anche nei contesti socialmente più sfavorevoli : l’integrità, la fiducia nel bene, la fiducia nell’Uomo non sono l’eccezione, sono la regola. Una regola che forse passa inosservata perché il bene non fa notizia, ma è ancora – e sarà sempre – molto, molto più forte del male.
Così, rispettiamo i valori, e anche noi saremo nella regola – nel Tao. Saremo allora integri e congrui nelle nostre azioni, e il mondo, il suo chiasso, la sua malvagità e il suo dolore ci gireranno intorno senza osare toccarci.
Il vero Maestro Massone sa essere umile senza essere servile. Non corre, non parla : riflette in silenzio. Non pensa mai di essere un Maestro, perché sa che c’è sempre qualcuno più bravo di lui.
Ecco il vero Maestro ; ecco ciò che vuole la Massoneria da noi.
Il fantasma del Venerabile
Giovanni Domma
Maggio 2009
pagina 1
Ho incontrato di nuovo il Venerabilissimo Fratello Giovanni Domma: un Massone dei nostri giorni la cui personalità richiama alla mente un Desaguliers, un Dunckerley, un Martinez – insomma i grandi personaggi che hanno dato lustro alla Massoneria del diciottesimo secolo.
Con la sua tenacia calabrese, il Fratello Domma visita metodicamente un gran numero di Logge portando dovunque il verbo della riforma massonica che gli sta a cuore: l’Installazione obbligatoria dei Maestri Venerabili. Non limitandosi a questo, dischiude ai Fratelli gli orizzonti di realtà ancora completamente sconosciute in Italia, come la Massoneria del Marchio, che ha deciso di introdurre nel nostro Paese. Intorno a lui si stanno raccogliendo molti Fratelli che ne condividono le idee, e già l’Officina che lo ospita abitualmente è passata dal rituale scozzese all’Emulation, affinché il suo Venerabile potesse essere installato.
Uno dei temi chiave del Domma/pensiero è che bisognerebbe dare ai Massoni più informazione e più istruzione. Mi racconta che resta sbigottito ogni volta che si trova a trattare di argomenti massonici con illustri Fratelli di elevato spessore culturale: li vede aggrottare le sopracciglia e chiedergli di cosa stia parlando, in quanto di certi temi non conoscono neanche l'esistenza.
Naturalmente non è il caso di generalizzare: ci sono anche tanti Massoni che nelle loro Logge fanno un ottimo lavoro, dai quali molto spesso riceve incoraggiamento ad andare avanti.
Dopo che, come suo solito, mi ha preso un po’ in giro presentandomi ai suoi amici come l’opinion maker della Massoneria italiana, siamo passati a parlare della questione che più preme ad entrambi: l’accoglimento dell’Installazione obbligatoria in tutte le Officine del Grande Oriente d’Italia.
Il Fratello Domma porta avanti questa battaglia da tanti anni, perché – come ama ripetere - nell’attuale ordinamento del GOI, i poteri effettivi del Venerabile sono quelli di un fantasma, e questo gli sembra un’ingiustizia e una mancanza di rispetto nei confronti di tanti Fratelli che prestano generosamente all’Ordine il loro contributo.
Non c’è bisogno di dire che ha ragione. Nell’attuale regolamento del Grande Oriente d’Italia, i poteri riconosciuti al Maestro Venerabile di un’Officina sono esattamente tredici, e precisamente:
- Celebrare Iniziazioni e aumenti di grado, e provvedere alle riammissioni e alle affiliazioni;
- Presiedere le riunioni di Loggia;
- Partecipare alle Sessioni della Gran Loggia;
- Partecipare alle sedute del Collegio Circoscrizionale e del Consiglio dei Maestri Venerabili;
- Nominare il Segretario;
- Designare ogni volta i sostituti di Dignitari e Ufficiali eventualmente non presenti, e vegliare sul comportamento massonico dei Fratelli;
- Tenere i rapporti con il Grande Oriente d’Italia;
- Firmare tutti gli atti e la corrispondenza della Loggia;
- Dare esecuzione ai provvedimenti che attengono alla Loggia;
- Nominare i componenti della Commissione di Loggia;
- Nominare eventualmente un Oratore, un Segretario e un Tesoriere aggiunti;
- Disporre del Tronco della Vedova (ovvero delle offerte versate ritualmente dai Fratelli);
- Curare il ritiro degli eventuali oggetti e documenti dati loro in consegna.
I primi due punti non fanno altro che ribadire (abbastanza sottovoce) il ruolo riconosciuto alla figura del Maestro Venerabile dalla tradizione: la sua conclamata centralità, per cui nell'esercizio del magistero iniziatico la sua autorità dovrebbe essere sacra ed inviolabile. Il penultimo punto gli conferisce una modesta disponibilità economica; tutto il resto, se analizzato con attenzione, fa di lui una figura di levatura poco superiore a quella del Segretario, senza nessun accenno a una sua eventuale voce in capitolo nella conduzione dell’Ordine.
Tutto questo stona non poco con quanto abbiamo osservato nell’articolo Massoneria in 4 gradi?: ovvero che già oggi la Massoneria è di fatto costituita non da tre, ma da quattro gradi - Apprendista, Compagno d’Arte, Maestro e Maestro Venerabile.
E’ il caso di ripeterlo: non ci si riflette spesso, ma solo i Maestri Venerabili (in carica o Passati) hanno in Massoneria la facoltà di iniziare, ovvero di creare i nuovi Fratelli che recano vita alle Logge. Se si pensa che il Grande Oriente non esisterebbe senza le Logge che gli hanno conferito il mandato di amministrarle, si può dire che i Venerabili dovrebbero essere riconosciuti come i veri capidell’Ordine.
Questa è ovviamente un’asserzione abbastanza estrema (almeno qui in Italia), per cui non insistiamo, e limitiamoci a ribadire che le prerogative iniziatiche legate al ruolo del Venerabile sorpassano quelle del normale Maestro a un punto tale che sarebbe doveroso riconoscerlo esplicitamente come un grado; e che, per quanto una innovazione di questo genere non possa essere attuata senza cambiare i landmarks, sarebbe giusto almeno dargli la possibilità di accedere sempreall’Installazione, anche se è macchiato dalla “colpa” di essere stato eletto in una Loggia scozzese.
Se non altro, l’Installazione avrebbe il potere di proteggere i Maestri Venerabili italiani dai disagi internazionali che in altri articoli ho ripetutamente segnalato. E’ accaduto pochi mesi fa anche in Italia: alla tornata inaugurale di un’Officina all’obbedienza di una Gran Loggia amica, il Maestro Installatore a chiesto a tutti i Maestri e a coloro che non erano mai stati installati di lasciare il Tempio, e quasi tutti i Venerabili presenti sono dovuti uscire.
Sarebbe inoltre il primo passo verso la creazione di un sistema di camere intermedie dai poteri più estesi dei semplici Collegi Circoscrizionali, creato sul modello delle Massonerie di taglio anglosassone. Si dice talvolta (l’ho scritto anch’io da qualche parte) che il sistema inglese è più autoritario del nostro, perché nega il principio della sovranità della Loggia; questo è in parte vero, ma bisognerebbe pure ricordare che in compenso afferma la sovranità del Maestro Venerabile, che della Loggia è il legittimo rappresentante, concedendogli innumerevoli possibilità di partecipare al governo dell’Ordine del tutto sconosciute ai… fantasmatici Venerabili nostrani.
Tra l’altro, se in Italia volessimo lavorare nella regolarità internazionale, tutti coloro che compongono la Gran Loggia - incluso il Gran Maestro - dovrebbero essere Ex Maestri Venerabili Installati; invece adesso accade che ne facciano parte Fratelli che non sono mai stati Venerabili, e tantomeno Installati.
In base a questa situazione - osserva il Fratello Domma - qualunque Venerabile regolarmente installato in una Loggia Emulation riveste una dignità iniziatica superiore a quella del Gran Maestro: d’accordo, non bisogna confondere il livello esoterico con quello amministrativo eccetera, ma se non siamo al paradosso poco ci manca. E se a noialtri, con la nostra mentalità “latina”, questo dettaglio può sembrare di poco conto, ricordiamoci sempre che non è tale per gli Inglesi: agli occhi dei quali, l’autorità per cui il GOI governa le Logge apparirà sempre dubbia, per non usare aggettivi più forti.
Anch’io avevo peccato di ottimismo augurandomi, nell’articolo Orizzonti del Grande Oriente, che il riconoscimento del GOI da parte della Gran Loggia Nazionale Francese fosse la Colomba recante nel becco il Ramoscello di Ulivo che annunciava la fine del Diluvio dell’irregolarità: la fine di questo incubo che dura ormai da sedici anni, e limita così pesantemente il prestigio internazionale della Massoneria italiana. Ma il momento non è ancora arrivato, e se ci ostineremo a voler fare a modo nostro ho una gran paura che non arriverà mai.
Sarò più esplicito: non c’è da illudersi che la Gran Loggia d’Inghilterra sia disponibile a riconoscere un Ordine che – pur glorioso e ricco di storia – contravviene tanto apertamente agli standard da lei sostenuti; ha già fatto questo sbaglio in passato, si è pentita e non lo ripeterà più. C’è da augurarsi che gli avversari dell’Installazione lo capiscano prima o poi, rendendosi conto del male che la loro posizione intransigente sta causando all’Istituzione.
Molti di questi avversari sono tali per motivi di orgoglio nazionale (la tradizione massonica latina, ecc.), e vivono l’avvento di questa riforma come una sorta di inaccettabile ingerenza estera. Altri – i più disinformati - temono che metta a rischio la democrazia interna del GOI. Altri ancora sono Fratelli che lavorano in corpi rituali di origine scozzese/latina, e vedono nel Maestro Venerabile Installato non solo un inaccettabile doppione del “quarto grado” praticato nei loro Riti, ma anche una pericolosa avanguardia all’avanzata dei corpi rituali anglosassoni: concorrenti temibilissimi per la grande ricchezza del loro patrimonio iniziatico che attrae fortemente già fin d’ora molti Massoni italiani (e al quale conto di dedicare in futuro numerosi articoli). Insomma: se non fosse un’espressione che non rende giustizia alla loro buona fede, potremmo dire che temono di essere esautorati.
A tutti questi argomenti ho già contrapposto il mio personale punto di vista vuoi nell’uno vuoi nell’altro dei miei articoli; non mi piace ripetermi, e non piacerebbe neanche ai miei lettori. Ma è il caso di ricordare ancora una volta che i tempi sono cambiati, e che Massoneria latina non è affatto più sinonimo di democrazia, né interna né esterna (magari lo fosse: sarei il primo dei suoi sostenitori), proprio come la concezione più verticista della Massoneria anglosassone non è mai stata sinonimo di autoritarismo, ma di facilitazioni per i Fratelli di buona volontà nell’ascendere i gradini e partecipare attivamente alla gestione dell’Ordine.
Un ulteriore argomento contrario non ho enumerato tra i precedenti, in quanto se ne differenzia per la sua particolarissima natura: il pregiudizio anglofobo (perlopiù di importazione francese) assai diffuso negli ambienti esoterici italiani. Inutile dire che esso non regge minimamente all’impatto né dell’analisi storica né della ragione, ma tuttavia – come tutti i pregiudizi – si nutre di sé stesso, e delle emozioni più negative che si annidano nell’anima dell’uomo.
Ai miei Fratelli (doppiamente Fratelli) esoteristi, vorrei dire col cuore in mano che se apriranno la loro mente ai tesori della Massoneria anglosassone, non se ne pentiranno. Chi segue la mia rubrica sa bene quanto ogni contaminazione tra esoterismo e religione mi dia fastidio (magari ne fosse immune il mondo dell’esoterismo latino, che da questo punto di vista è in realtà molto più malmesso di quello inglese), e certo al primo impatto certe ingenue drammatizzazioni della storia biblica che sono tratto comune di tanti rituali britannici possono lasciarci perplessi; non al punto, però, di farci dimenticare che la forza sottesa a queste presunte “deviazioni sentimentali” è valsa a far lievitare le due Rivoluzioni del diciottesimo secolo, e in un tempo incredibilmente breve ha fatto della Massoneria l’organizzazione iniziatica più diffusa e potente del mondo.
Se la curiosità intellettuale sopravvive ancora in noi come non è mai venuta meno ai Massoni nel corso della storia, sarebbe forse il caso di applicarla proprio a quel campo; questo a maggior ragione – mi verrebbe spontaneo dire – per i Fratelli contrari all’azione esoterica sulla società. Il loro atteggiamento critico nei confronti della Massoneria britannica potrebbe così trovare il conforto di argomenti fondati sulla conoscenza diretta, e la smetterebbero finalmente di salmodiare la solita litania di terza mano sui presunti effetti negativi del moralismo protestante, cessando anche di offendere senza necessità né fondamento le decine di migliaia di Protestanti italiani.
Per chi invece è favorevole alla Massoneria come strumento di rigenerazione sociale, c’è il caso che un “bagno di Inghilterra” possa fargli riscoprire il segreto perché la nostra Istituzione possa ridiventare davvero un tale strumento - segreto di cui al GOI ci sarebbe parecchio bisogno.
C’è da osservare infine che la riqualificazione del Maestro Venerabile potrebbe essere molto utile al miglioramento delle relazioni tra il Grande Oriente e le Logge. A volte sembra che nessuno si renda davvero conto di quanto sia importante la reciprocità del rapporto; eppure il successo dell’Arte dipende non solo dalla qualità del lavoro, ma anche dal modo in cui esso viene ripagato.
Una volta presa coscienza che all’aumento dei poteri di chi le rappresenta corrisponde una crescita reale della loro possibilità di influire sull’Ordine, le Logge italiane guarderebbero al GOI con nuova fiducia; e la storia ci insegna che quando i Massoni italiani sentono di poter avere davvero fiducia nel loro Ordine, è loro costume restituire il bene ricevuto con un commovente prodigarsi, che nelle vicende del GOI ha lasciato più volte luminose tracce.
Bisogna quindi avere il coraggio di guardare avanti, e cambiare. Fino ad oggi molte cattive abitudini hanno condizionato la Massoneria; è tempo di voltare pagina e di sperimentare idee nuove. Molti Fratelli avvertono fortemente tale esigenza, e senza dubbio è questa la prima ragione per cui la “crociata” di cui si è fatto carico il Fratello Domma è oggetto di consensi di mese in mese sempre più plebiscitari: si direbbe che la consapevolezza della necessità di installare i Venerabili si stia spargendo per il GOI alla velocità della luce.
Speriamo quindi di cuore che presto questo progetto venga attuato, e che in seguito all’introduzione di un rituale di così grande maestà e bellezza come quello dell’Installazione la Massoneria italiana possa arricchirsi sempre più di candidati fortemente motivati dal punto di vista esoterico; tenendo fuori quei presunti Fratelli che mantengono l’Istituzione in uno stato di letargo per soddisfare più indisturbati le proprie comodità, avidità, apatie ed i propri interessi personali – eterni metalli dei quali il GOI sembra destinato a non riuscire a liberarsi mai.
In un’istituzione come è la Massoneria - che insegna amore fraterno, uguaglianza, tolleranza, umiltà eccetera - non dovrebbe esserci posto né per l'arroganza né per la sudditanza , ma solamente per gli uomini liberi e di buoni costumi, il cui cuore è pronto ad aprirsi al lavoro collettivo con i Fratelli di Loggia e ad assimilare i segreti dell’Arte Reale; perché l’albero della Maestranza possa dare sempre buoni frutti, ovvero Fratelli giusti, maturi, umili e saggi.
La Massoneria è un Ordine Iniziatico, e tale deve restare. Chi voglia intraprendere questo percorso iniziatico deve esserne veramente consapevole, e crederci sino in fondo; perché la conoscenza esoterica non deve essere degradata né profanata.
Da questo punto di vista, i segni buoni negli ultimi tempi non sono mancati. Infatti, la rielezione a Gran Maestro del Rispettabilissimo e Venerabilissimo Fratello Gustavo Raffi (giusta o non giusta dal punto di vista dei regolamenti, è un problema spinoso che sono felice di non dover giudicare; ma che dovrebbe essere risolto da buoni Fratelli all'interno dell'Istituzione - e mi fermo qui) ha confermato ai vertici del GOI persone perbene, che nella gestione precedente avevano lavorato egregiamente per il risanamento dei rapporti internazionali.
Per questo, è doveroso che tanto il sottoscritto quanto il Fratello Domma porgano loro da queste pagine un sentito ringraziamento: in quanto entrambi abbiamo sperimentato i problemi da cui sono afflitti i Fratelli che - per vicende di cui non sono responsabili – si sono dovuti adattare ad una sorta di “esilio massonico” fuori della patria.
Speriamo che la sua saggezza spinga il Fratello Raffi a premere l’acceleratore nella soluzione del problema messo in luce da questo articolo; in quanto (come certo lui è il primo a sapere), è questo oggi il principale ostacolo che separa il GOI da ulteriori e importanti riconoscimenti.

Domande frequenti
“Lavorare con la Grande Scuola degli Antichi Scalpellini Maestri Muratori del Marchio è stata un'esperienza unica e ricca di significato. Consiglio vivamente la loro conoscenza a tutti coloro che amano l'arte e la tradizione, la fratellanza e l' amicizia , il rispetto e la severa educazione . Più o meno giovani operativi e speculativi , filantropi e filosofi , amano ciò che sono e ciò che fanno. ”
[Giovanni Doria]
Al mio G. M. di vita , instancabile compagno e Potentissimo M.M.M.
🌿G. M. R. M.🌿
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Il Compagno e la Squadra
Nella muratoria operativa, la Squadra era l’emblema dei cosiddetti Straight Masons (o Square Masons), i Tagliatori, e il Compasso degli Arch Masons, o Costruttori ; il simbolo della Squadra e Compasso stava quindi a rappresentare l’insieme della muratoria, considerata in entrambe le sue componenti.
Citiamo qui di seguito alcuni passi del nostro libro Massoneria del Marchio, aventi come fonte le ricerche effettuate da Neville Cryer :
Quando un Apprendista entrava a far parte della Loggia (a partire dal marzo 1663, l’età minima fu fissata a 14 anni di età, e dal dicembre dello stesso anno a 21 ; prima entravano anche ragazzini di 12 o 13 anni) sceglieva in quale delle due classi egli volesse servire. Se sceglieva di essere uno Straight Mason gli veniva fatto dono di una Squadra, se un Arch Mason di un Compasso : è questa l’origine storica dell’immortale simbolo che tanto amiamo. Il colore-simbolo degli Straight Masons era il blu, quello degli Arch Masons il rosso (…).
Soltanto gli Arch Masons erano abilitati alla costruzione di edifici includenti archi (compresi i ponti), che richiedevano molta maggior perizia. Ma sebbene l’arte degli Arch Masons fosse indubbiamente più sofisticata e difficile, non si vedeva la ragione di attribuire loro uno status di superiorità : una tale discriminazione avrebbe tradito le regole più basilari dell’arte muratoria, basata sui criteri della più assoluta interdipendenza reciproca. Non a caso la Forza è una Luce di dignità non inferiore alla Bellezza, e la Sapienza è il necessario complemento di entrambe ; non a caso la meta di tutti gli Operai che lavorano alla Gloria del Grande Architetto è il compimento della trasmutazione interiore.
Di conseguenza, Straight Masons e Arch Masons potevano contare su percorsi paralleli e molto simili, la cui differenza più rilevante si celava nel rituale di passaggio al grado di Compagno : la Pietra che nel rituale Straight risultava perduta era la Pietra Angolare, nel rituale Arch la Chiave di Volta.
E’ quindi lecito dal punto di vista iniziatico considerare “Pietra Angolare” e “Chiave di Volta” come equivalenti, e lo stesso vale per gli attrezzi corrispondenti, ovvero la Squadra e il Compasso.
Poi, nel passaggio alla Massoneria speculativa, si verificarono due fenomeni : 1 – parte del simbolismo Straightvenne accolto dalla Massoneria Azzurra, parte del simbolismo Arch dalla Massoneria del Marchio ; 2 – l’introduzione del grado di Maestro secondo Hiram fece sì che tale nuovo grado avocasse una parte del patrimonio simbolico che presso gli operativi era appannaggio dei perfezionamenti del grado di Compagno.
Questi notevoli cambiamenti confusero le idee su molti aspetti del simbolismo massonico, e in particolare riguardo alla collocazione simbolica della Squadra. Per esempio, è assioma comune che nell’emblema della Squadra e Compasso, la Squadra sia da associare al grado di Apprendista e il Compasso al Maestro, volendo così rappresentare le contrapposte esigenze che il primo si conformi rigidamente alla disciplina di Loggia e il secondo possa liberamente spaziare, apportando il contributo della propria creatività ; un’utile e istruttiva immagine che però può risultare ingannevole se viene spinta fino a implicare una presunta superiorità qualitativa del Compasso nei confronti della Squadra, idea che non solo sarebbe in contraddizione con le origini del simbolo, ma anche con altre importanti funzioni da esso svolte - non dimentichiamo che la Squadra è anche il gioiello del Maestro !
Inoltre, non è il caso di supporre che l’Apprendista conosca pienamente l’uso della Squadra : se così fosse, il suo compito non sarebbe limitato a una sommaria sgrossatura della pietra, che era quanto avveniva concretamente nella muratoria Straight. Lavorando duramente, gli Apprendisti, estraevano le Pietre e le sgrossavano ; il Compagno le levigava, e quando gli sembrava che fossero idonee alla costruzione a lui toccava la responsabilità di presentarle, sottoponendole al giudizio dei Sovraintendenti o eventualmente del Maestro.
Da questo si può vedere che il grado di Compagno d’Arte nacque e si sviluppò tra gli Operai delle Cave. Era quindi il grado operativo per eccellenza, e per questo fu fatale che l’enorme numero dei suoi perfezionamenti non potesse sopravvivere alla svolta del 1717. Molti di essi confluirono nel mare magnumdegli antient degrees e vennero cancellati definitivamente dopo la Uniondel 1813 ; parecchi oggi si possono ritrovare come side degrees o gradi collaterali della Massoneria del Marchio.
La semplificazione del grado di Compagno lasciò erede la moderna Massoneria del problema a chi spettasse il compito della squadratura definitiva della pietra. Ci sono oggi due scuole di pensiero in proposito : chi suppone che tale obbligo spetti ai Maestri, chi ritiene che essi ricevano dai Compagni le pietre già squadrate e la loro opera si limiti a coordinarle, disponendole nella giusta posizione.
E’ in verità assai arduo stabilire quale delle due ipotesi possa essere considerata tradizionalmente la più corretta. Il fatto che presso gli Antients e gli operativi il compito della squadratura fosse appannaggio dei Compagni parrebbe testimoniare in favore della seconda, ma tale conclusione si rivela a una lettura approfondita piuttosto superficiale, se pensiamo 1 – che tutte le interpretazioni simboliche volte a sottolineare la maggiore importanza dell’azione collettiva dei Fratelli rispetto al lavoro individuale sono da considerare di origine Modern, e anche questa non fa eccezione – la vediamo apparire molto dopo il 1717 ; 2 – che sia gli Antientsche gli operativi potevano contare su un numero variabile di perfezionamenti del grado di Compagno, che ne differenziavano qualitativamente le competenze.
Considerazioni di questo genere originano tuttora appassionati dibattiti nel rituale Emulation, dove si cerca di attenersi il meglio possibile alle antiche tradizioni. Ad ogni passaggio vengono attribuiti al Fratello attrezzi da lavoro inerenti al suo grado di padronanza dell'arte muratoria (che gli vengono spiegati sia in senso pratico che morale), ed essi sono : all’Apprendista il Regolo da 24 Pollici, il comune Maglietto e lo Scalpello ; al Compagno la Squadra, la Livella e il Filo a Piombo ; al Maestro, il Sisaro, la Matita ed il Compasso. Ma esiste anche una scuola di pensiero in base alla quale la spiegazione della Squadra in grado di Compagno sarebbe prematura, e ad essa andrebbe piuttosto sostituita quella del Sisaro - un attrezzo che è utile nello scavare le fondamenta dell’edificio, quindi senz’altro preliminare all’uso della Squadra.
In definitiva, può essere corretto affermare che il Compagno conosce la Squadra, ma bisogna anche vedere di che tipo di Compagno si tratti, e fino a che punto la conosce – se ne conosce solo l’esistenza, o ne conosce l’uso parzialmente, o se la padroneggia in modo perfetto. In altre parole, occorrerebbe mettersi d’accordo su quale sia il livello degli antichi perfezionamential quale il grado attuale di Compagno va equiparato.
Se, per trovare la risposta, dovessimo tener conto di tutti i perfezionamenti che gli Antients conservarono nella forma di antient degrees, saremmo nella nebbia : sono centinaia. La maggior parte, però, si erano formati in seguito all’influsso dell’esoterismo templare sulla muratoria scozzese ; innestandosi cioè su un corpus primigenio - direttamente legato alla muratoria operativa - che era formato da un numero di perfezionamenti immensamente minore. C’è chi dice due, chi tre, chi quattro ; comunque, è indiscutibile che i livelli fondamentali nei quali era articolato il grado di Compagno fossero pochi, e la loro almeno sommaria riscoperta sembra essere il presupposto indispensabile per chiarirci le idee.
Interessante a questo proposito è l’esame della Massoneria in sette gradi, cui abbiamo già accennato in un altro articolo di questa raccolta (Massoneria operativa e speculativa) ; nel quale, tra parentesi, ne abbiamo parlato piuttosto male, esprimendoci contro la convinzione assai diffusa che la muratoria operativa fosse universalmente divisa in sette gradi, perché è una forzatura assurda – in realtà, i sistemi degli operativi variavano enormemente da una località all’altra, e quei pochi che ci sono parzialmente noti presentano in genere un numero di gradi inferiore al sette.
Questa osservazione non è soltanto una pignoleria da studiosi : nasce dal fastidio a fronte di certe speculazioni che, facendo leva sul concetto tradizionale della sacralità che sarebbe legata al numero sette, insinuano tra le righe che la Massoneria speculativa in tre gradi non ne sarebbe altro che una versione molto impoverita, che avrebbe perduto per strada gran parte del suo valore iniziatico. E’ anche per difendersi contro falsità di questo genere (e non solo per uno spirito classista certo deprecabile) che nel diciannovesimo secolo, a dispetto di ogni evidenza storica, la Gran Loggia Unita d’Inghilterra si dimostrava estremamente riluttante ad accogliere la tesi dell’origine operativa della Massoneria.
Il grande paladino della muratoria in sette gradi era stato il Fratello Clement Stretton, che affermava di essere stato ammesso a far parte nel 1877 di una gilda operativa, la Worshipful Society ; per quanto molte incongruenze siano state rilevate nelle sue descrizioni dei rituali, la maggior parte delle notizie da lui fornite vennero considerate attendibili, e tra queste (forse) pure che quella particolare gilda lavorasse in sette gradi.
Le sue rivelazioni, però, non furono accolte con molto trasporto dagli storici della Massoneria ufficiale, e non solo : anche Réné Guénon – che al di fuori dell’UGLE resta pur sempre una delle massime autorità in tema di tradizione massonica, e più degli storici in forza all’UGLE godeva del privilegio di esprimersi liberamente – senza giungere al punto di accusare Stretton di falso, pensava che molta parte delle presunte usanze tradizionali da lui segnalate fosse il frutto di interpolazioni moderne.
Comunque Stretton riuscì a convincere del suo punto di vista un numero sufficiente di Fratelli per dare origine, nel 1913 a un Ordine irregolare, che ancora oggi pratica la Massoneria Azzurra in sette gradi, fondandosi su rituali di grande suggestione e bellezza.
Ora, è proprio l’analisi dei gradi secondo Stretton che ci aiuta a far luce sui perfezionamenti del grado di Compagno, facendoci comprendere quanti di essi debbano essere presi in considerazione.
I sette gradi, infatti, sono : Apprendista, Compagno, Marcatore, Costruttore, Sovraintendente, Maestro e Gran Maestro. E’ opportuno precisare subito che il grado di Gran Maestro corrisponde all’attuale Maestro Venerabile Installato ; per quanto riguarda invece i perfezionamenti del grado di Compagno, il Marcatore è in sostanza l’Operaio del Marchio (Mark Man) ; il Costruttore è il Maestro del Marchio (Mark Mason), e se aggiungiamo il Sovraintendenteraggiungono il numero di tre. Tenendo conto anche del Compagno stesso, le suddivisioni praticate in seno all’attuale secondo grado sono quattro.
Nella vera muratoria operativa, il Marcatore (detto anche Compagno Esperto) veniva detto Super Fellow, e il Costruttore (sottinteso : sul Sito del Tempio) Super Fellow Erector ; entrambi erano sottoposti all’autorità dei Sovraintendenti. Nel libro Massoneria del Marchio ne abbiamo parlato così :
Per il passaggio al grado di Compagno, il Candidato doveva preparare una rozza Pietra Squadrata come campione del suo lavoro, e il Sovraintendente ai materiali doveva esaminarla prima che potesse entrare. Doveva portarla con sé quando entrava nella Loggia, e dichiarare che quella era tutto il suo lavoro. Gli veniva chiesto il segno e la parola di passo : Banai, Costruttore.
Il compito che gli veniva assegnato in quella occasione ci è stato tramandato da Robert Padgett nel 1686, in un rituale ad uso di tutte e otto le “divisioni” degli operativi in Inghilterra (Londra, Westminster, Divisione del Sud, Bristol, Chester, Isole Minori, Lancaster e York). Due delle sue prescrizioni sono notevoli :
Onorerai l’Altissimo e la Sua Santa Chiesa : non aderirai a nessuna Eresia, Scisma o Errore nelle tue Iniziative, né discrediterai gli insegnamenti degli Uomini saggi.
Manterrai Segrete le oscure e intricate Parti della nostra Scienza, non dischiudendole a nessuno tranne a coloro che già le studiano e le utilizzano.
Gli veniva poi consegnato un Regolo dell’esatta misura di un cubito, e veniva indirizzato all’angolo nord-est della Loggia perché provvedesse a completare la rifinitura della sua Pietra rozzamente squadrata ; dopodiché questa veniva riesaminata dall’Ispettore e finalmente accettata, al che gli veniva comunicata la parola di passo giblim (Muratore Esperto).
Dopo un anno da Compagno, si poteva accedere al perfezionamento di Compagno del Marchio (detto anche Superfellow, Super-Compagno) (…). Il Candidato veniva condotto intorno alla Loggia per tre volte, e prestava giuramento inginocchiandosi di fronte alla Pietra Squadrata che aveva portato con sé (…).
Per quanto riguarda gli Erettori : troviamo in certe Gilde un grado detto Bonai, i cui membri erano Collocatori ed Erettori. Il rituale di avanzamento a questo grado era uno dei più complessi in assoluto della muratoria operativa, ma vale comunque la pena di darne alcuni cenni.
Il Candidato dichiarava di essere una pietra marchiata e di cercare avanzamento ; dopo varie difficoltà, veniva sollevato un velo che celava la parte occidentale del Tempio, e gli era dato finalmente di vedere i tre Gran Maestri seduti all’Occidente fianco a fianco.
A quel punto, quattro forti Muratori si disponevano a quadrato : piede contro piede, spalla contro spalla, ciascuno con una spada nella mano sinistra e un diverso attrezzo nella destra. Si staccavano poi l’uno dall’altro quanto bastava per raggiungere gli angoli di un quadrato tracciato sul pavimento con entrambe le diagonali ; il Fratello col Filo a Piombo sospendeva il suo attrezzo sul Centro, e si comunicava al Candidato che in questo modo erano stati formati i cinque punti. Come in svariati altri rituali di “quarto grado”, il rito che seguiva era presieduto da Adoniram.
Con una breve diversione dal nostro argomento, è interessante osservare che i cinque punti della fratellanzarientravano all’origine nel simbolismolegato al grado di Compagno ; non è soltanto nel perfezionamento detto Bonai che li ritroviamo, ma anche addirittura nel rituale di passaggio da Apprendista a Compagno Straight Mason, nel corso del quale
per l’iniziazione, l’Apprendista entrava in Loggia vestito di bianco, con un cordone blu intorno alla vita, tenuto per mano da due Compagni, uno per parte ; un altro Compagno davanti e un altro dietro reggevano gli estremi di un altro cordone blu annodato intorno al suo collo.
C’è da chiedersi indubbiamente se il numero di quattro Compagni coinvolto in tali cerimonie non sia ancora una volta da ricollegare ai quattro diversi livelli di specializzazione del grado considerati da Stretton.
Provando a tirare le file di quanto visto finora, possiamo dire che - dei quattro tipi di Compagno - il Compagno semplice conosce la Squadra in modo approssimativo. Di lui non sappiamo neppure se i pezzi che ha lavorato vengano sottoposti all’esame dei Sovraintendenti : parrebbe proprio di no, perché non dispone di un Marchio con cui identificarli, e possiamo supporre che il suo ruolo si limiti a una seconda sgrossatura delle pietre che gli Apprendisti hanno strappato alla roccia.
Del tutto diversa è già la situazione per il Marcatore, che in virtù della sua perizia acquista il diritto di apporre sulla pietra un marchio di identificazione. Del suo rituale di iniziazione conosciamo soprattutto la versione Arch, ma effettuate le debite trasposizioni l’impressione è che il frutto del suo lavoro sia ancora circondato – da parte dei Compagni più anziani - da un alone di scetticismo e di diffidenza, e sottoposto a controlli molto severi e un po’ “nonnisti” ; solo nel grado successivo (quello che Stretton chiama Costruttore, ma si tratta ancora una volta di un palese innesto Arch in un contesto Straight) la sua perizia viene pienamente riconosciuta.
I gradi di Marcatore e Costruttore corrispondono, nell’odierna Massoneria del Marchio, ai gradi di Operaio del Marchio e Maestro del Marchio. A quanti chiedono come mai l’antico grado di Operaio del Marchio sia stato preservato fino ad oggi, anche a costo di introdurre nel rituale alcune apparenti contraddizioni, Neville Cryer risponde che la sua trasmissione è un preliminare necessario perché il Fratello possa meritare il Marchio : infatti, sebbene nella Massoneria Azzurra il Compagno sia stato provvisto degli attrezzi necessari per lavorare la sua Pietra, molte cose ancora non gli sono state insegnate, e in particolare l’uso della Squadra.
Quando un Fratello chiede di essere avanzato nel Marchio, tanto il Candidato quanto i due Compagni che lo accompagnano si presentano ai Sovraintendenti portando le pietre da loro lavorate, e questi usano la Squadra per verificarne l'esattezza del loro lavoro. Fino a che punto la superiorità fondata sull’uso di questo attrezzo sia considerata importante, risulta chiaro nella cerimonia di Installazione dei Maestri Venerabili delle Logge del Marchio :
dopo la morte del nostro Maestro Hiram Abi nelle circostanze da voi gia conosciute, fu indispensabile elegere un nuovo Maestro per presiedere al posto suo.
Tuttavia, per ragione di un grande numero di Compagni competenti ed intelligenti, era difficile sceglierne uno senza offendere gli altri.
Fu allora deciso di selezionare nel giro dei Maestri Muratori del Marchio dodici fra quelli che avevano gia esercitato la funzione di Sovrintendente, considerati superiori agli altri.
In altre parole, i soli Compagni considerati idonei ad aspirare al soglio di Hiram sono i Sovraintendenti, ovvero coloro che conoscono l’uso della Squadra; e nulla di diverso da una gloriosa Squadra di Luce è quella che vediamo delinearsi - tra Cielo e Terra - nello stupendo quadro conclusivo del racconto.
Fu loro detto di recarsi l’indomani mattina in un luogo determinato. Fu inoltre deciso che quello che prima avrebbe visto i raggi del sole sarebbe stato riconosciuto Maestro per occupare il posto di Hiram. Mentre la maggiorparte di loro guardavano verso l’Est, Adoniram si girò verso Ovest, proteggendosi gli occhi dalla crescente e abbagliante luce, e vide un raggio di sole colpire il tetto del Tempio. Cadde immediatamente sul ginocchio destro (…) (e) fu immediatamente riconosciuto come legittimo successore di Hiram Abi.







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